I sogni del passato sono diventati incubi. Le storie di ieri, che ci raccontano o ci raccontiamo, non solo mancano di lucentezza e attrazione ma finiscono anche per apparire fantasie per bambini o storie dell’orrore. Da tempo cercavamo una storia alternativa. Alla fine ce l’abbiamo e ci serve per organizzarci. Sta circolando nei villaggi e nei quartieri, specialmente nelle comunità indigene. Ha infranto i vecchi miti malconci e contiene un saggio compendio del passato, con alcuni frammenti molto antichi e altri della storia recente. Il fatto che sia passata inosservata da quelli che stanno in alto, che non vogliono o non possono ascoltarla, è un sintomo della sua forza
di Gustavo Esteva
Che fare di fronte al disastro che ci opprime? Come affrontare quello che ci arriva dall’alto e mettere in moto i cambiamenti necessari? Come dovrebbero essere questi cambiamenti? Riformisti? Rivoluzionari? Il termine rivoluzione si riferisce convenzionalmente al tentativo violento di abbattere le autorità politiche esistenti e sostituirle per ottenere un cambiamento di fondo delle relazioni politiche, dell’ordinamento giuridico-istituzionale e della sfera socio-economica. Le rivoluzioni realizzano tutto ciò attraverso una serie di riforme successive,
Ogni rivoluzione si istituzionalizza: instaura le istituzioni del nuovo regime. Chiamare ‘istituzionale’ il partito che ha fatto proprie le rivendicazioni della Rivoluzione Messicana non implicava il fatto che venissero tradite, ma il cambiamento non è stato senza conseguenze[1]. Ha rispecchiato una svolta repentina nell’orientamento del regime, sostituendo lo spirito della riforma agraria cardenista con la “rivoluzione verde” patrocinata dal governo statunitense e dalla fondazione Rockefeller.
A partire dagli anni Quaranta, con il suo nuovo nome, il PRI ha cercato di mantenere il fervore rivoluzionario che dopo vent’anni di ritardi ha cominciato a paralizzarsi con Cárdenas. La Rivoluzione Messicana è rimasta così interrotta, come tempo fa ha osservato lucidamente Adolfo Gilly. Nei decenni successivi, con molti alti e bassi, è stata vagamente mantenuta l’ideologia adottata dal regime, sotto il nome di ‘nazionalismo rivoluzionario’. Questo periodo è terminato con José López Portillo, che si è definito l’ultimo presidente della Rivoluzione e le ha detto addio con la nazionalizzazione della banca.
De la Madrid ha compiuto un colpo di Stato il giorno del suo insediamento, per disfarsi di quelli che facevano ancora parte del gruppo rivoluzionario e per facilitare le riforme a cui lui stesso diede inizio, che si approfondirono con Salinas, si ampliarono con Zedillo, Fox e Calderón e hanno raggiunto il culmine con quelle di Peña. Tutte queste riforme hanno avuto un carattere contro-rivoluzionario, poiché erano esplicitamente orientate a smantellare le norme e le istituzioni del regime della Rivoluzione. Per la transizione, Salinas ha collocato il “liberismo sociale” al posto del “nazionalismo rivoluzionario”. L’attuale amministrazione ha tolto la parola ‘sociale’ dall’etichetta; le basta il liberismo occidentale. Per applicare le riforme, tutti sono stati costretti a ricorrere a un crescendo di violenza e di autoritarismo.
Per analizzare ciò che avviene, e in particolare per esaminare ciò che è necessario fare quando la verità e le istituzioni che ci hanno governati per 200 anni cadono in pezzi intorno a noi, abbiamo bisogno di trovare le parole appropriate, sfuggendo al magma confuso che usano le classi politiche e i media.
Una linea adeguata di chiarificazione è quella di Foucault, quando segnala che non basta cambiare l’orientamento ideologico senza una modifica sostanziale delle istituzioni, e non basta neppure cambiare le istituzioni senza modificare l’orientamento. È necessaria, a suo avviso, una conmoción[2] simultanea di ideologie e istituzioni, una conmoción rivoluzionaria.
Questo è, molto chiaramente, ciò di cui abbiamo bisogno. Non basterebbe sostituire Peña[3] e la sua équipe perché altri dirigenti diano un orientamento nuovo all’apparato. E neppure sarebbe sufficiente riformare alcune istituzioni, ad esempio per invertire le riforme contro-rivoluzionarie degli ultimi anni e tornare alla situazione precedente. Ci vuole un nuovo tipo di iniziative, dal basso, che realizzino la conmoción rivoluzionaria. E ci vuole anche qualcosa di più.
«Né la rivoluzione né la riforma – diceva Ivan Illich – possono in fin dei conti cambiare una società. Bisognerebbe piuttosto pensare ad una nuova narrazione potente, così persuasiva da cancellare i vecchi miti e da diventare la storia preferita; così inclusiva da riunire frammenti del nostro passato e del nostro presente in un insieme coerente; una storia che gettasse anche un po’ di luce sul futuro, in modo che sia possibile fare il prossimo passo avanti. Se uno vuole cambiare la società, deve fare una narrazione alternativa».
I sogni del passato sono diventati incubi. Le storie di ieri, che ci raccontano o che ci raccontiamo, sono state tanto rimaneggiate che non solo mancano ormai di lucentezza e di attrazione, ma finiscono anche per apparire fantasie per bambini o storie dell’orrore.
Da tempo cercavamo una storia alternativa. Alla fine ce l’abbiamo. Sta circolando nei villaggi e nei quartieri, specialmente nelle comunità indigene. Ha infranto i vecchi miti malconci e diventa a poco a poco la storia preferita. Contiene un saggio compendio del passato, con alcuni frammenti molto antichi e altri della storia recente. È anche sorgente di luce che delimita la strada da seguire, ed è fonte continua di ispirazione che induce a percorrerla. Il fatto che sia passata inosservata da quelli che stanno in alto, che non vogliono o non possono ascoltarla, è un sintomo della sua forza. In basso, invece, la stanno ascoltando anche quelli che hanno le orecchie molto tappate, con un cerume ideologico che non li lascia udire con chiarezza. Il suono è tanto forte e tanto chiaro che non ho nemmeno bisogno di raccontarla qui, o di dire il suo nome. Ha creato la condizione del cambiamento. È ora di collocarci con quella storia.
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Fonte: la Jornada
Titolo originale Para organizarnos
Traduzione di Camminar domandando
Gustavo Esteva vive a Oaxaca, in Messico. I suoi libri vengono pubblicati in diversi paesi del mondo. In Italia, sono stati tradotti: «Elogio dello zapatismo», Karma edizioni: «La Comune di Oaxaca», Carta; e, proprio in questi mesi, per l’editore Asterios gli ultimi tre: «Antistasis. L’insurrezione in corso»; «Torniamo alla Tavola» e «Senza Insegnanti». In Messico Esteva scrive regolarmente per il quotidiano La Jornada ma i suoi saggi vengono pubblicati anche in molti altri paesi. In Italia collabora con Comune-info.
Tutti gli altri articoli di Gustavo Esteva usciti su Comune-info sono qui
Un piccolo nucleo di amici italiani di Esteva, autodenominatosi “camminar domandando”, nei mesi scorsi ha stampato il testo della conversazione tenuta da Esteva a Bologna nell’aprile 2012 (i temi in parte sono gli stessi degli incontri tenutisi nell’occasione a Lucca, in Val di Susa, Torino, Milano, Venezia, Padova, Firenze e Roma): “Crisi sociale e alternative dal basso. Difesa del territorio, beni comuni, convivialità”. (chi vuole, può scaricarlo su www.camminardomandando.wordpress.com).
Note
[1] Il riferimento è al PRI, il “Partito Rivoluzionario Istituzionale” che ha governato il paese per 71 anni, dal 1929 al 2000 (ndt).
[2] Il termine spagnolo conmoción allude a un vivace scambio reciproco di azioni e di idee, senza una linea prestabilita e senza la direzione di un leader (ndt).
[3] Enrique Peña Nieto è l’attuale presidente (ndt).
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