Se c’è una Giornata internazionale istituita dalle Nazioni unite che ha smesso di essere un rituale, è quella del 25 novembre per l’eliminazione della violenza contro le donne, grazie al movimento delle donne. C’è un grido sempre più forte che nasce dal basso e che dobbiamo ovunque imparare ad ascoltare, perché il dominio maschile e il suo carico di violenza restano estesi e ancora molto sfuggenti. Possiamo imparare ad ascoltare quel grido ad esempio attraverso alcune domande. Perché la libertà delle donne fa tanta paura? Perché la causa scatenante della violenza contro le donne viene ancora troppo spesso ricondotta al comportamento delle vittime? Perché gli uomini faticano a interrogarsi sulla “matrice virile” della violenza? Cosa lega l’amore all’odio e, soprattutto, come nasce questo legame nella vita di ogni giorno? E ancora: come possono stare insieme libertà, consapevolezza di sé, amore? Un articolato intervento di Lea Melandri
C’è una violenza anche mediatica
Perché la libertà delle donne fa tanta paura?
Se la violenza parla il linguaggio dell’amore…
L’ambigua complementarità delle figure di genere
Edo Facchinetti dice
Io da uomo di 61 disabile con tetraparesi spastica non ho mai sopravvalutato la mia personale virilità, anzi me ne sono sempre strafregato di questa forma assurda di sentirsi superiore e poi ho sempre distinto amore, amicizia, tenerezza, affetto da gelosia e possessività. Perché sia che si tratti di amore eterosessuale, amore lesbico e omossessuale, che bisessuale che transessuale, io nel mio pensiero e nella mia poca pratica ho sempre tenuto a non far volutamente confusione. Sarò una mosca rossa, ma mi sta bene di essere considerato una mosca rossa su questo argomento ho sempre tentato cocciutamente, da quando ho iniziato ad avere l’età della ragione, di distinguere sempre in ogni caso.