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In Yemen non c’è un conflitto armato

Mimmo Cortese | 7 gennaio 2018 | 0 commenti

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di Mimmo Cortese*

Le parole di Michele Nones esprimono solo il suo pensiero o, indirettamente, anche quello della ministra Pinotti, visto che è suo consigliere? La ministra può confermarci pubblicamente che sia «fuorviante» – come ha incredibilmente affermato il suo portavoce – sostenere che l’Arabia Saudita è impegnata in un conflitto armato contro lo Yemen? I 10.000 morti civili (nella stima più restrittiva), gli ospedali bombardati, gli oltre tre milioni di sfollati, i 7 milioni ridotti alla fame, i 600.000 casi di colera, i 14 milioni senza acqua potabile sono un’invenzione del New York Times, del Corriere della Sera, dell’Ohchr, dell’Unicef o frutto della guerra tra una coalizione guidata dai sauditi e uno dei paesi più poveri del mondo?

Difficile superare indenni la sensazione nauseabonda che suscita la violenta ipocrisia insita in affermazioni di tal fatta, argomentando con tanta inqualificabile leggerezza su un conflitto le cui conseguenze sono state definite dall’Onu «la più grave crisi umanitaria mondiale».

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Nones tuttavia non si accontenta e poche righe dopo, nell’articolo pubblicato sul sito di Affari Internazionali del 31 dicembre, aggiunge al suo raggelante argomentare – al termine di una contorta e confusa giravolta, nella quale è molto arduo comprendere quale sia la sua concezione di conflitto armato, chiamando in causa, alla rinfusa, pure Francia, Regno Unito, Libia e Siria – che anche le bombe e missili americani, per contrastare i movimenti terroristici, «inevitabilmente comportano pure vittime civili». Ammettendo, al tempo stesso, non solo che in Yemen è in corso una terribile guerra ma dilungarsi sulle sue conseguenze – quelle «inevitabili» vittime civili – è, di fatto, una inutile e seccante perdita di tempo. Così va il mondo! Che questi sognatori scocciatori, pacifisti e amici della nonviolenza, se ne facessero una ragione quanto prima.

D’altronde proprio l’Arabia Saudita è un nostro «prezioso alleato finanziario e militare in moltissime missioni internazionali di stabilizzazione di aree di crisi e contrasto al terrorismo» dice Nones, perché non dovremmo vendere loro armi quando lo fanno, con profitti ben più corposi, i maggiori paesi occidentali? Che diamine!

Non sappiamo se il professor Nones ripeterebbe le sue affermazioni sulla inevitabilità dell’uccisione di donne, vecchi e bambini, o riformulerebbe il suo giudizio su ciò che accade in Yemen, se qualche suo parente, qualche suo familiare, finisse ucciso sotto il crollo di una casa colpita da un attacco aereo o a causa di una bomba venduta ai sauditi dal nostro paese. Chissà se conserverebbe quell’altero distacco con il quale guarda agli affari internazionali come se osservasse la plancia cartonata e multicolore del RisiKo? Da ciò che abbiamo letto, anche se vorremmo sinceramente sbagliarci, sembra di poter dedurre che certi pensieri non lo interessino affatto, che gli siano completamente estranei.

Sul merito della vendita delle armi all’Arabia Saudita, sul trend positivo di questo affare, sulle prove inequivocabili e incontestate che le bombe prodotte in Sardegna abbiano colpito obbiettivi civili e seminato morte e distruzione, abbiamo ampiamente dato comunicazioni e documentazione, come Opal Brescia, in molteplici sedi. Tra di esse alcune Procure della Repubblica che le hanno ritenute tanto fondate e circostanziate da aprire un’inchiesta per la violazione della L.185/90. Inchiesta ancora in corso della quale attendiamo fiduciosi gli esiti. Il nostro analista, Giorgio Beretta, ha pubblicato sulla questione numerosi articoli e rilasciato più di un’intervista che non sono mai state smentite da nessuno. La richiesta di un confronto autentico, dati alla mano, con il ministero della Difesa e con il governo, presentata a più riprese da tutte le associazioni che fanno parte della Rete Disarmo è stata, negli ultimi anni, regolarmente ignorata.

D’altronde affermare che laddove non sussista un embargo – una carta bollata che lo “certifichi” – non si possa parlare di conflitto armato e di conseguenza non si possa porre alcun problema nella vendita di armi a chi la combatte, le cui tragiche e inenarrabili conseguenze, e la cui mole di sofferenze, sono quelle mostrate al mondo intero da tutta l’informazione e le agenzie internazionali, dice molto della cultura che alberga nella fascia più alta della dirigenza dello Stato, ci fa supporre quali possano essere i criteri per la fondamentale scelta dei funzionari che hanno il compito delicatissimo di tradurre in azioni e atti concreti le direttive e le determinazioni di un governo e di un paese.

Nonostante tutto ciò vogliamo ancora pensare che un cambio di passo sia possibile, siamo sempre disponili al dialogo e al confronto, siamo fiduciosi che la maggior parte delle tragedie e dei conflitti internazionali si possano ricomporre in maniera non distruttiva, anche se crediamo sia fortemente auspicabile un profondo ripensamento sull’etica della responsabilità, sulla sacralità e il rispetto per ogni vita, quando si compiono scelte dalle quali qualcuno non potrebbe più tornare indietro.

Crediamo che anche su questo tracciato sia racchiusa l’essenza di un’autentica democrazia.

 

*Opal, Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le politiche di difesa e sicurezza di Brescia

Titolo originale completo. Una fuorviante ed ipocrita cultura: in Yemen non c’è un conflitto armato!

 

Tags:Arabia, armi, commercio armi, demcrazia, disarmo, Guerra, Sardegna, Usa, Yemen

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