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Un apprendimento vitale

Paolo Mottana | 11 settembre 2014 | 4 Commenti

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Abbiamo bisogno di ripensare l’arte dell’apprendere, di mettere in discussione l’idea di scuola come luogo in cui trascorrere molte ore ogni giorno (seduti) e per tanti anni, un luogo troppo spesso separato. Occorre riportare bambini e ragazzi sulla scena del mondo, della natura, delle strade, dei luoghi dove si vive e si traffica e si impara sul serio. L’imparare come fare insieme radicato nella vita concreta quotidiana. Danza, teatro, musica, scrittura, lettura, matematica ma anche cucina, esplorazione della natura a quella della città, dalla bottega agli spazi sociali, dal laboratorio veterinario ai campi di granturco, dalla palestra alla pista di pattinaggio, secondo nuovi ritmi. Una scuola radicalmente diversa in cui provare, esaltarsi e sbagliare, perdersi e incontrarsi, in cui bambini e ragazzi sono attori sociali a tutti gli effetti ogni giorno

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di Paolo Mottana*

Far fuori la scuola. Non è solo uno slogan ma una necessità impellente. Una necessità che può davvero far ruotare il pianeta su sé stesso e ricollocarlo nella giusta orbita di gravitazione. Possiamo ritornare a mettere i piedi sopra il suolo e la testa nel cielo, non il contrario come accade adesso. La scuola è un’impresa delittuosa, l’artefice principale del “sequestro educativo”. E’ il principale strumento al servizio del soffocamento di quelle esperienze meravigliose e insostituibili che si chiamano infanzia e adolescenza.

Noi dobbiamo strappare bambini e ragazzi ai reclusori, ai sarcofagi di cemento dove vengono internati per lunghissimi anni fino a che non siano stati trasformati in materia buona solo per far girare gli apparati di potere. Noi dobbiamo salvarli, memori di quanto abbiamo sofferto allora, quando ne fummo anche noi rapiti e inebetiti, e di quanto ineludibilmente si continua a soffrire anche ora, silenziosamente e perlopiù inconsapevolmente, a fronte del funzionamento osceno e apparentemente inarrestabile di quel meccanismo normativo e martirizzante. Occorre restituire ai bambini e ai ragazzi la loro esperienza. Occorre riportarli sulla scena del mondo, della natura, delle strade, dei luoghi dove si vive e si traffica e si impara sul serio. Illich lo ha già detto bene, a suo tempo, restando, come molti guru di superiore saggezza, inascoltato. Ma nel tempo in cui tutte le istituzioni sono sempre più assoldate alle necessità dell’astrazione-scambio, della merce, del profitto e della produzione del nulla, l’esigenza di aprire una breccia nel muro, di aiutarli a sfuggire a un destino di soggiogamento scandaloso, è sempre più inaggirabile.

Dobbiamo pensare la presenza di bambini e ragazzi nel mondo come una presenza liberatoria, come il riferimento epocale, il vertice simbolico di una società che si interroga fondamentalmente a partire da questa presenza, accogliendone le domande radicali, in virtù delle quali ripensarsi globalmente. Domanda di spazio, di tempo, di eros, di gioco, di avventura che diventano domanda di vita nella quale tutti possono riconoscersi, oltre qualsiasi ricatto proveniente dal sinistro e demoniaco mondo dell’economia. I bambini e i ragazzi come attori sociali a tutti gli effetti, in grado di negoziare la propria esperienza come esperienza di integrazione nel mondo, nella sua carne e nei suoi saperi, in presenza di un’offerta straripante di occasioni vitali di accesso alle fonti primarie del fare e dell’essere.

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La compagine sociale può divenire, secondo meccanismi di rotazione e di inserimento virtuosi, la sfera dell’apprendimento vitale, non un luogo separato e separatore. Proprio come aveva suggerito (e profetizzato) Illich, si tratta di un reticolo di possibilità sempre più intrecciate, di cui ognuno deve poter fruire grazie ad un sistema di accesso esteso e articolato. Imparare come esperienza che si radica nella vita concreta, con infiniti possibili punti di irradiazione, insegnanti, guide, maestri, esperti che offrono la propria disponibilità in situazioni ciascuna dotata di autonomia, di localizzazioni specifiche, dove l’unica motivazione a frequentare sia l’interesse, così come deve essere sancita la possibilità di allontanarsi in ogni momento.

Il mondo intero può diventare spazio di esperienza, di avventura e di specifica formazione e i ragazzi possono riconquistare il diritto di scegliere un proprio percorso vitale, punteggiato di fasi di ascolto e di fasi di azione, di vuoti e di pieni, di appassionamenti e di abbandoni, di volta in volta fruendo della possibilità di condividere, di discutere i propri piani con pari, con adulti, con chi riterranno meglio. Scegliendo luoghi e possibilità di esercizio dove corpo, mente, anima ed emozioni siano insieme connessi e attivati. Dal circo alla danza, dal teatro alla musica, dall’azione plastica alla scrittura alla lettura, dal calcolo alla pura immaginazione, dalla costruzione alla demolizione, dalla cucina all’amore, dall’esplorazione della natura a quella della città, dalla bottega all’industria, dal laboratorio veterinario ai campi di granturco, dalla palestra alla pista di pattinaggio, secondo nuove geometrie, ritmi, scadenze, una temporalità il cui fulcro sia il libero e protratto esercizio al diritto di provare, di godere, di esaltarsi e di sbagliare, di abbandonare, di perdere e di incontrare. Il mondo che diventa un immenso teatro vitalissimo per l’immersione dei bambini e dei giovani nelle sue maglie e nei suoi labirinti, finalmente sottratti al giogo del sequestro scolastico e all’incorporazione obbligata nei suoi schemi inibenti e mortificanti.

 

 

* Docente di Filosofia dell’educazione presso l’Università di Milano-Bicocca, ha insegnato Filosofia immaginale e didattica artistica all’Accademia di Brera e si occupa dei rapporti tra immaginario, filosofia e educazione. Scrive un blog dal titolo Controeducazione (dove è stato pubblicato questo articolo con il titolo originale Tornare a Illich: far fuori la scuola). Tra le sue pubblicazioni: Formazione e affetti (Armando, 1993); Miti d’oggi nell’educazione. E opportune contromisure (Franco Angeli 2000); L’opera dello sguardo (Moretti e Vitali, 2002); Piccolo manuale di controeducazione (Mimesis, 2012); Cattivi maestri. La controeducazione di René Schérer, Raoul Vaneigem e Hakim Bey (Castelvecchi, 2014).

 

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“Caro premier Matteo Renzi, la scuola non ha bisogno della sua riforma. In vari decenni, sotto l’egida di tante proposte e rimaneggiamenti di opzioni ormai obsolete, la scuola ha retto lo stesso, grazie agli insegnanti. Siamo noi docenti che mandiamo avanti la scuola, nonostante le riforme… La qualità della scuola siamo noi, non i dettati legislativi… Ci umilia solo il pensiero di quei 60 euro mensili a “chi merita”… provveda ad assumere i precari come la Ue obbliga a fare… E ci lasci lavorare serenamente” (la lettera completa)

 

Tags:educare, primo piano, Scuola

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4 Risposte a “Un apprendimento vitale”

  1. JLC
    Rispondi
    Maria Grazia Giordano
    12 settembre 2014 at 10:38 #

    Tutto questo è molto bello e condivisibile, ma necessita di alcuni prerequisiti: in particolare, la capacità degli studenti di essere responsabili e rispettosi. Purtroppo un numero significativo di studenti non sono stati educati a questo, con effetti a volte paradossali e sorprendenti.

    Faccio qualche esempio reale: un docente di scienze porta la sua classe ginnasiale a fare un’escursione. Durante la sosta per il pranzo, il docente nota che l’alunno con disabilità si è allontanato, quindi prega un altro alunno di cercarlo e di farlo avvicinare. L’alunno trova rapidamente il compagno e gli dice di avvicinarsi al gruppo, cosa che avviene senza alcun problema. Il giorno dopo, il genitore dell’alunno che era stato incaricato di cercare il compagno si precipita furibondo dal preside minacciando sfracelli perchè al figlio era stato dato un incarico che non gli competeva…

    Secondo esempio: lo stesso docente di scienze, in un’altra occasione, porta un’altra classe a fare una escursione lungo il corso dell’Aniene a Subiaco (Roma). sempre durante la pausa pranzo, mentre gli alunni stanno giocando a pallone, il pallone cade nel fiume. Il prorpietario, senza pensarci due volte, si spoglia e, nonostante i richiami del docente che stava a pochi metri, si lancia nelle acque gelide per recuperare la palla. Decidiamo di dare al ragazzo un giorno di sospensione con obbligo di frequenza (sanzione più simbolica che reale) per fargli capire il grave pericolo corso con il suo comportamento. Reazione del padre: quante storie che fate! Il ragazzo è un provetto nuotatore!

    Terzo esempio. Durante una gita all’estero, è prevista una escursione (mi pare a Dresda) per la quale è necessario il passaporto. Le due classi con gli accompagnatori giungono in pulman al posto di frontiera quando uno degli alunni si accorge di aver dimenticato il passaporto in albergo. la docente accompagnatrice non può far altro che affidare l’alunno al locale posto di polizia e accompagnare il resto della classe nella escursione prevista. Al ritorno dall’escursione, il ragazzo si riunisce al gruppo e torna in albergo. La madre dell’alunno si è precipitata dal preside minacciando denunce per abbandono di minore e la povera collega per evitare la denuncia ha dovuto scusarsi ufficialmente…

    Confesso che in queste condizioni pensare di uscire dalle quattro grigie mura scolastiche è veramente un atto di eroismo…

  2. Rispondi
    Silvia Lelli
    12 settembre 2014 at 12:54 #

    Cara Maria Grazia,
    è chiaro che la questione è circolare, ma da qualche parte bisognerà pur iniziare. Bisogna parlare molto chiaramente con ragazzi-e e con i genitori, molto più di come non si faccia ora. Incontrarli, fare delle feste invitandoli a scuola ed ‘educando’ anche loro ad una scuola inclusiva, diversa da quella riduttiva attuale.

  3. JLC
    Rispondi
    Nicola Ferrara
    13 settembre 2014 at 00:06 #

    Toccare con mano. Sperimentare le proprie idee. Architettarsi per trovare soluzioni.

    Sapersi argomentare in maniera semplice,per uno scambio reciproco di saperi.

    Tramandare tutto ciò che si sa per non dimenticare.

    Chiudere gli occhi e riuscire a vedere i sogni, nelle loro molteplici sfaccettature.

    Sapere riconoscere i sogni da i desideri.

    Sapere riconoscere i desideri da i bisogni.

    Cercare di vedere con gli occhi degli altri.

    Riuscire a dormire senza paura di rincontrare le proprie azioni.

    (via Fb)

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  1. BLOG : La voce di quasi tutti - 13 settembre 2014

    […] Abbiamo bisogno di ripensare l’arte dell’apprendere, di mettere in discussione l’idea di scuola come luogo in cui trascorrere molte ore ogni giorno (seduti) e per tanti anni, un luogo troppo spesso separato. Occorre riportare bambini e ragazzi sulla scena del mondo, della natura, delle strade, dei luoghi dove si vive e si traffica e si impara […] […]

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