A volte ci sono luoghi e momenti che incarnano lo spirito del tempo. Non dipendono da regole predeterminate o da pianificazioni ex-ante, ma sono la conseguenza del libero incontrarsi delle speranze e delle attese delle persone. E’, se vogliamo, il senso originario della «politica» che, almeno alle origini, partiva dai bisogni e dalle aspettative cercando di dare risposte a problemi che nascevano dalla materialità quotidiana delle persone. Soluzioni ad una vita reale che prima ancora di basarsi sulle teorie rivoluzionarie o riformiste del momento, trovavano radici nelle notti insonni e nelle preoccupazioni di chi doveva barcamenarsi per sostenere un nucleo famliare. E nella consapevolezza che quelle fatiche e quelle insonnie erano comuni a molte persone, conseguenza di relazioni di lavoro ingiuste, di una società diseguale e di un futuro inguardabile.
Quella politica, oggi, esiste ancora. Nonostante i professionisti del parlamento con i loro escamotage per mantenere il proprio status, ed una società civile che rischia di perdere la bussola andando a ruota della politica elettorale, ci sono luoghi e momenti dove le parole riacquisiscono senso. Sono spazi mentali e relazionali che si formano grazie a processi di partecipazione delle persone, alla liberazione di spazi fisici dalla morsa del degrado e della speculazione ed alla volontà di procedere assieme, «avanzando su ciò che unisce e lavorando su ciò che ancora divide».
Così è nato il Municipio dei Beni Comuni di Pisa e di questo si tratta quando si ricorda United Colors of Commons, la tre giorni pisana che ha fatto incontrare, dal 25 al 27 gennaio, centinaia di persone con in testa un’idea precisa: ricominciare a fare politica, dal basso, a cominciare dai bisogni reali.
Il successo politico di un evento si può misurare in molti modi: dall’affluenza, che in questo caso è stata sopra le aspettative, con punte di oltre duecento persone agli eventi plenari e una media di venti-trenta persone ad ognuno degli undici gruppi di lavoro del sabato. Oppure dalla sua autorevolezza, considerato che United Colors of Commons da evento locale ha saputo coinvolgere reti e persone lontane centinaia di chilometri da Pisa. O dalla qualità dei suoi interventi, e basterebbe leggere i contributi giunti su queste pagine virtuali o lo stesso documento finale per capire il livello di confronto che ha preceduto ed accompagnato le tre giornate.
Ma quello che realmente conta, in un evento come questo, è stato il processo all’interno del quale è nato e cresciuto e quello che lentamente sta seminando. Alla base di tutto c’è una rete reale, una comunità di intenti e di persone, che si è messa a disposizione per ritrovare un momento comune, dove decidere non solo strategie, ma anche modalità concrete di fronteggiare la crisi. Sono passati anni da quando il movimento dei movimenti fu definito da Susan George come «il primo movimento di massa della storia che non chiede niente per sé, ma vuole solo giustizia per il mondo intero». Le masse in piazza, almeno per ora, non ci sono più o comunque si sono trasformate in cittadinanza responsabile, e soprattutto le realtà di movimento, e la società intera, si stanno trovando nella situazione di dover chiedere anche qualcosa per sé, pena l’estinzione e la fame. La crisi morde e davanti a disuguaglianze crescenti e ad un’esclusione sociale sempre più pesante trovare vie di uscita non solo idealistiche, ma anche concrete, è diventato un dovere morale.
Nel Municipio, nei prossimi mesi, si sperimenteranno politiche con i piedi per terra. Si metteranno a confronto le esigenze reali delle persone in carne ed ossa, quelle che subiscono le conseguenze di un lavoro che manca o che sta diventando sempre più incerto e precario, o che vivono di una condizione abitativa sempre più carente, o che assistono ad un welfare che rischia di sparire nonostante i loro bisogni continuino a crescere. E si tenteranno di mettere a confronto con le risorse presenti, le competenze e le conoscenze a disposizione, per creare un’altra economia, capace di essere solidale, ecologica e, perché no, anche non monetaria per uscire dal cappio dell’austerity e del mercato.
Lo spazio fisico occupato dell’Ex-colorificio potrà diventare spazio liberato anche dall’invadenza dei mercati in cui sperimentare forme di microcredito (è in programma un percorso verso la Mag Pisa), di transizione e di bioedilizia, ma dove creare anche le condizioni per una nuova comunità consapevole ed impegnata, capace di valorizzare le conoscenze dei più per il benessere di tutti. E capace di lanciare campagne e mobilitazioni, perchè oggi più che mai alla proposta alternativa e sostenibile si affianca l’esigenza di saper gestire e praticare il conflitto.
E’ una sfida che, a questo punto, si apre. Con tanta motivazione sebbene nessuno abbia la certezza di una sua riuscita. Ma se è vero che l’evoluzione naturale ha proceduto per tentativi e sperimentazioni, Pisa ed il suo Municipio dei Beni Comuni si candidano ad essere un microecosistema dove creatività e politica fanno sistema. All’interno di un percorso peculiare e partecipato, ma che chiede agli altri territori e alle esperienze che li abitano la disponibilità a fare altrettanto.
Ripartire dai bisogni e dalla vita vera, se lo sono dimenticati tutti, in questo scorcio di campagna elettorale da avanspettacolo. Adesso, e per questo motivo, potrebbe essere il momento giusto per ricominciare a «colorare» e a camminare insieme.
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